Tablet in classe: tempo di bilanci…
L’anno scolastico sta quasi per finire e vorrei condividere con voi alcune riflessioni sulla mia esperienza di uso dei tablet nelle mie classi sia per la didattica della matematica e delle scienze, sia per progetti pomeridiani di inclusione e orientamento.
Prima qualche dettaglio tecnico sull’hardware che ho utilizzato:
Passiamo invece alle considerazioni di metodo…
La scelta di utilizzare questi strumenti è stata sempre dettata dalla considerazione di quello che lo strumento permette di fare e del modo in cui permette di avvicinarsi agli obiettivi (in questo caso di apprendimento) stabiliti. Io cerco di fare un uso stimolante del tablet o di altri supporti digitali per incamerare informazioni, trattarle in modo rapido, condividerle col resto della classe; o per proporre esercizi e “sfide” personalizzate per ogni studente, in un modo che richiederebbe molto più lavoro con supporti quali carta e penna. Che c’è di male nel fatto di digitalizzare gli strumenti già in uso? Un libro elettronico in fondo non è altro che un libro scritto e letto tramite pixel invece che stampato su carta.
Un libro letto su un supporto digitale “sconnesso” non differisce molto da un libro di carta e comporta alcuni vantaggi immediati: la possibilità sia di ingrandire le lettere e gli spazi per affaticare meno la vista e rendere la lettura più confortevole, sia di ricercare facilmente la definizione e la traduzione di parole straniere nel dizionario annesso.
Connettere un libro a Internet cambia le carte in tavola perché rende più facile l’uscita dal libro e aumenta il rischio di distrazioni: se leggete o se i vostri figli leggono sul tablet connesso potrete veder apparire messaggi e-mail, appuntamenti segnati nella vostra agenda, o essere semplicemente tentati dall’andare a controllare un’informazione su Internet. Nel caso delle situazioni di insegnamento e d’apprendimento, tradurre vecchi strumenti e strategie in formato digitale può dare impressione di aver radicalmente cambiato l’insegnamento, allorché lo si è semplicemente passato su un supporto elettronico; in questo modo si perdono di vista gli obiettivi e si provoca una sensazione (provvisoria) di soddisfazione che non corrisponde a un guadagno reale. Si rischia così di stagnare in modalità di apprendimento sub-ottimali che scintillano di novità solo perché sono tecnologicamente nuove.
Un esempio è rappresentato dall’introduzione di lezioni filmate in cui l’insegnante recita il suo corso: dov’è la novità? Il fatto di poter accedere all’informazione illimitatamente è certo interessante, ma non rappresenta un modo particolarmente innovativo o personalizzato di acquisire conoscenze.
Il problema non è nell’oggetto, ma nel modo in cui organizziamo il nostro spazio e tempo di utilizzo, nel modo in cui stabiliamo limiti e modalità in cui il flusso continuo di informazione reso possibile dal digitale ha diritto d’interferire con altre attività e obiettivi che ci siamo posti.
Ognuno di noi può decidere in un momento della sua lezione di restare aperto alla “distrazione” e di lasciarsi portare dal flusso delle informazioni, invece di focalizzarsi su un solo compito e obiettivo. Quello che non dovremmo ignorare è che la scelta del digitale comporta una negoziazione. Invece che viverla come un automatismo, si dovrebbe allora pensarla con una transazione economica di cui vogliamo discutere le condizioni. È questo, essenzialmente, il significato del fare un uso ragionevole del digitale.
Nel corso di migliaia di anni di evoluzione culturale, la nostra specie ha inventato e prodotto strumenti e supporti che ben si adattano al nostro cervello, che ne sfruttano le capacità e le tendenze. Il nostro cervello è quindi in qualche modo preparato ad accogliere la novità rappresentata dalle tecnologie digitali, e ad accoglierla positivamente, mostrando interesse e benevolenza.
Il digitale è, nel bene come nel male, sinonimo di informazione — di cui permette l’accumulazione, la trasmissione e il trattamento in grandi quantità. Il suo lato oscuro è rappresentato dal rischio di vedere mal utilizzate (a scopi commerciali o di manipolazione e orientamento dell’opinione pubblica) le informazioni che vari motori di ricerca e organismi privati raccolgono ogni volta che ci connettiamo in rete e consultiamo un nuovo sito, compriamo un libro o usiamo una rete sociale. Il lato “chiaro” è rappresentato dall’impatto su modi nuovi di produrre conoscenza attraverso la partecipazione degli studenti alla raccolta — e in alcuni casi all’analisi — dei dati.
Un aspetto fondamentale per il buon uso dei dispositivi elettronici e digitali, o almeno per evitare di farne cattivo uso, è rappresentato dal buon esercizio del proprio pensiero critico. Esistono molte definizioni di pensiero critico, legate all’idea di non prendere per buona qualunque informazione e affermazione, ma di vagliarla attentamente alla luce della sua fonte, di altre informazioni a nostra disposizione e, per quanto possibile, di fatti ben stabiliti e di conoscenze.
Fare uso del proprio pensiero critico non dipende solo dalla buona volontà: la mente critica è una mente attrezzata per l’uso. Gli attrezzi che servono al pensiero critico sono di vario genere. Molti somigliano a quelli usati in modo professionale ed esperto dagli scienziati per evitare di cadere nelle trappole delle osservazioni limitate e superficiali, delle ipotesi e dei giudizi formulati troppo rapidamente, sulla base d’intuizioni, senza confrontarli adeguatamente con i fatti. Altri consistono nella capacità di forgiarsi opinioni a partire da conoscenze e informazioni di seconda mano: amici, fonti documentarie, Internet.
Un aspetto fondamentale di questo secondo gruppo è la capacità di giudicare le nostre fonti e la loro affidabilità. Peccato, perché è proprio uno degli aspetti che l’anonimato e la distanza imposta dalla rete tra noi e le nostre fonti rendono più difficili da valutare… Un altro aspetto è quello di giudicare le idee che ci vengono proposte sulla base del loro contenuto e della loro struttura: esiste una logica in quello che ci viene detto? I fatti sono dovutamente usati e rispettati? Infine, si tratta di essere capaci di mettere tutto questo insieme — incluse le informazioni e conoscenze che ci vengono dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione — per affrontare nuovi problemi e prendere buone decisioni, per passare all’azione in modo informato e ragionevole. L’educazione al pensiero critico passa per la scuola, la famiglia, vari luoghi di cultura e di scienza. Con o senza tablet alla mano, questi luoghi sono palestre fondamentali in cui imparare a fare buon uso, critico e consapevole, del digitale.
Per concludere: non esistono soluzioni pronte all’uso e buone per tutti per fare un uso intelligente e saggio dei dispositivi digitali. Ma niente panico!! Ora sappiamo che il cervello è una macchina antica e un po’ vecchio stampo alle prese con un mondo nuovo, e conosciamo alcuni dei suoi meccanismi fondamentali: diamogli tempo e modo di sviluppare le sue difese immunitarie. Attrezziamolo, rispettiamo i suoi limiti e le sue caratteristiche. E aiutiamo bambini e ragazzi a fare lo stesso, perché possano utilizzare in modo saggio e fruttuoso le possibilità che le nuove tecnologie digitali offrono loro.
P.S.
Ho preso molti spunti dal testo “Come usare il tablet in famiglia” di Elena Pasquinelli
Devi accedere per postare un commento.