Arte e inclusione: un compito autentico lungo 30 metri di Auto.bio.grafia
La rubrica Ricette di Innovazione ha lo scopo di diffondere best practice didattiche attuate dai colleghi docenti e AD del Lazio incontrati durante la formazione del PNSD . Il precedente articolo ha visto come protagonista Pietro Alviti (BYOD, porta il tuo dispositivo e usalo!). Oggi parleremo invece di inclusione, arte e didattica innovativa.
Maria Teodolinda Saturno, docente specializzata nelle attività di sostegno (nonché esperta in multimedialità e disabilità) presso il Liceo Artistico Argan di Roma, è stata l’ideatrice, insieme al Prof. Ciro Dimita, di un’attività di inclusione scolastica innovativa dal punto di vista metodologico e rappresentativo capace di indebolire le pareti (materiali e culturali) che tengono distinti un’organizzazione come la scuola che fatica a cambiare, con le sfide che provengono dal mondo esterno.
Protagonista dell’attività è stato Petar Pitocco studente dell’Argan che nell’arco di un anno ha riportato su un rotolo lungo 30 metri, pensieri, ricordi, emozioni e speranze.
Perché parlare di un’autobiografia su Scuola e Tecnologia?
Spesso associamo la parola tecnologia ai nuovi media (soprattutto a quelli digitali) dimenticandoci che anche la scrittura è una tecnologia poiché richiede l’uso di strumenti quali ad esempio penne stilografiche, pennelli o biro, superfici predisposte come la carta, la tela e inoltre inchiostro, colori, etc.
Dimentichiamo altrettanto spesso che la parola greca scholé indicava lo svago, il divertimento, il tempo in cui le persone univano occupazioni e piaceri.
Fortunatamente questa attività (l’installazione in mostra dal 16 al 21 marzo 2017 presso la Sala Santa Rita- vicino al Teatro Marcello – Roma), mette in luce pratiche didattiche capaci di ritrovare il senso originario della “tecnologia scrittura” che non è mera appendice del discorso orale, ma dimensione del sensorio.
Ed è nell’autobiografia che possiamo individuare la vera essenza della scrittura.
Secondo Duccio Demetrio gli effetti dell’applicazione delle pratiche narrative , sono:
- di eterostima: presente nel momento relazionale dell’incontro tra chi è protagonista di una vicenda e qualcuno che si mostri interessato ad essa. Il narratore si sente confermato e riconosciuto dalla disponibilità di uno sguardo, da parole incoraggianti, dal tempo offerto;
- di autostima: durante il processo narrativo, il narratore viene aiutato a ritrovare la sua soggettività attraverso la riscoperta della propria storia di vita;
- di esostima: al termine degli incontri, quando al narratore vengono riproposte le sue storie, affinché, da solo o con un aiuto, possa precisare ed arricchire quanto detto attraverso altri linguaggi (grafici, visuali, fotografici).
Vuoi raccontarci come è nata l’idea di 30 metri Auto.Bio.Grafia?
È sempre difficile rintracciare l’origine di un’idea come questa che è nata, strada facendo, dalla contaminazione di esperienze tecnico-artistiche e didattico-multimediali mie e del collega di Laboratorio grafico, Ciro Dimita, che è anche il curatore dell’installazione in corso.
Siamo partiti dalla constatazione della bellezza della grafia di Petar, della forza espressiva del suo tratto grafico, già esplorata nella mostra “This is me”. Le dimensioni della scrittura le abbiamo concepite ingrandite, pensando all’uso del pennarello a punta grande, che è uno degli strumenti grafici preferiti da Petar e che ne caratterizza lo stile. Abbiamo pensato ad un supporto adeguato a tali esigenze, consistente e facilmente reperibile, come il rotolo da disegno Ikea.
Non abbiamo ancora detto che Petar è un ragazzo con una disabilità intellettiva. Rilevare i suoi bisogni speciali è stato fondamentale nella scelta del contenuto, nell’esplorazione inedita del racconto autobiografico a fini inclusivi. Abbiamo considerato il suo bisogno di comunicare e i modesti argomenti di conversazione; la necessità di fargli scoprire il piacere della scrittura, come strumento di comunicazione che si affina con l’esercizio. Un esercizio che fosse per Petar piacevole, prima che impegnativo, in modo da auto-alimentarne la motivazione, ridurne i livelli d’ansia e incrementarne l’autostima. Personalmente avevo avuto modo di sperimentare l’approccio autobiografico-narrativo su di me, con la scrittura di un contributo ad una autobiografia professionale sull’inclusione, ne avevo utilizzato alcuni spunti nella formazione dei colleghi specializzandi nelle attività di sostegno, ma quando ho proposto a Petar di raccontarmi cosa avesse fatto il giorno prima e poi di provare a scriverlo, non avevo ancora coscienza delle reali possibilità di riuscita. Solo il tempo ci ha confermato che si trattava dell’idea giusta per Petar in quella fase di sviluppo. L’attività infatti, a ricorrenza settimanale, si è protratta per oltre un anno assumendo la forza di un progetto “Tracce lungo un anno”, fino alla conclusione del rotolo, lungo 30 metri.
L’idea di far uscire l’esito del lavoro fuori dalle pareti materiali della scuola per intaccare le pareti culturali della società, come hai sottolineato nella tua introduzione, costituiva uno degli elementi fondanti di “Vidint” un altro percorso di ricerca sull’uso del video a fini inclusivi. La modalità di lavoro che avevo elaborato, a partire dal 2004 insieme a Francesco Albanese, ci ha portato alla produzione indipendente di diversi filmati e prevedeva fra le altre cose, la condivisione pubblica, possibilmente in un luogo deputato alla proiezione del video che non fosse la scuola, al fine di promuovere nell’opinione pubblica una visione meno stereotipata della disabilità e, nei protagonisti, un senso di efficacia conseguenza di quella “eterostima” di cui parla Demetrio, a proposito della scrittura autobiografica.
Quali sono state le difficoltà che inizialmente hai incontrato?
Per quanto riguarda uno spazio idoneo all’installazione, nel modo in cui era stata concepita, devo dire che abbiamo avuto la fortuna di incontrare interlocutori sensibili – nel team della Sala Santa Rita – che hanno colto, già in fase di progettazione, la rilevanza non solo sociale, pedagogica ma anche “artistica” dell’operazione, senza farsi condizionare da possibili pregiudizi sulla compatibilità fra disabilità intellettiva e arte, compatibilità mediata da una solida progettualità didattico-educativa, volutamente implicita che gli addetti ai lavori sono in grado di cogliere.
Più complesso il rapporto fra approccio narrativo-autobiografico ed inclusione, tanto più che questa attività è stata realizzata “fuori” dalla classe, nell’ambito di un progetto, attivo da due anni nel nostro Liceo, che non a caso si chiama “Altre inclusioni”. Rispetto ai rischi di micro-esclusione, ben noti nel dibattito sull’inclusione scolastica come il costituirsi della diade insegnante di sostegno-alunno disabile o dell’aula di sostegno come spazio “ghettizzante”, è chiaro che scegliere di allontanarsi dal gruppo-classe è sempre un passaggio delicato. L’attività a carattere introspettivo ha richiesto un setting dello spazio-tempo facilitante l’espressione, attraverso la scrittura, delle proprie esperienze. Un setting che abbiamo riconosciuto nei laboratori di grafica durante le ore non occupate da altre classi.
Come le hai superate?
Attraverso una solida progettualità fondata sui principi e competenze di didattica inclusiva: siamo partiti dal presupposto che l’inclusione non è tale solo per il fatto che si condivida un’aula, si stia seduti a fianco di un compagno “normodotato”, si lavori su un argomento, in qualche modo, connesso a quanto stia facendo il resto della classe, anche se tutti questi elementi contribuiscono al processo di inclusione. Il secondo presupposto è che il distacco dal gruppo-classe non si delinei necessariamente come “esclusione”, anche se la favorisce. L’esclusione, utilizzando alcuni accorgimenti, è diventata funzionale all’inclusione. Intanto si è trattato di un’esclusione temporanea, funzionale ad un rientro arricchente nel gruppo-classe. Tale esclusione ha permesso il raggiungimento di un risultato tangibile di tale valenza e significato, da permettere una nuova uscita, questa volta fuori dalla scuola, alla Sala Santa Rita (luogo emblematico di esposizione d’arte a Roma) con tutto il gruppo-classe. I compagni sono stati coinvolti in un compito reale come l’organizzazione e il servizio di accoglienza, nella fase di installazione dell’opera. In questo modo l’esperienza realizzata dal soggetto fuori dall’aula è diventata un’opportunità di esperienza reale per ognuno di loro, e di rinnovato interesse verso il processo creativo di Petar. È importante rilevare che l’esperienza di provvisorio allontanamento sia stata necessaria allo sviluppo emotivo, comunicativo e relazionale su un compito autentico, altrimenti non raggiungibile nel contesto classe.
Come hanno vissuto la tua idea Petar, i suoi genitori e perché no, i colleghi e il DS?
La risposta positiva di Petar all’attività, ci ha confermato la bontà della strada intrapresa per lui, come è possibile constatare anche dall’evoluzione della grafia nel corso dei 30 metri, sempre più distesa e in armonia con lo spazio.
Le fondamenta pedagogico-didattiche del progetto sotteso all’azione educativa, non sono immediatamente percepibili alla comunità scolastica o alla famiglia. Anche perché, affinché si raggiungano alcuni obiettivi di incremento di autostima, di partecipazione e motivazione autentica, è essenziale restituire un protagonismo agli studenti, apparentemente spontaneo e naturale, in realtà creato ad hoc dagli educatori-registi. Ma ciò fa parte del gioco: Petar, la famiglia, la comunità scolastica e i visitatori dell’installazione hanno restituito un’immagine di Petar straordinaria, per intensità espressiva ed umanità, come ci si aspetta da un grande artista.
Il vero rischio è, invece, paradossalmente una diffusione sterile dell’esperienza, un’applicazione di tali pratiche o modalità non sufficientemente fondata su conoscenze pedagogiche e di didattica inclusiva. È evidente che pensare di risolvere l’inclusione, attraverso modalità di allontanamento dal gruppo-classe, possa essere fuorviante e facilmente strumentalizzabile da coloro che ritengono ancora l’esclusione l’unica, o una delle poche, opportunità formative per quei ragazzi che presentino disabilità gravi.
La rimozione della barriera culturale che ci impedisce di guardare un manufatto, realizzato da un ragazzo con disabilità intellettiva con il necessario scaffolding (per usare un termine caro alla pedagogia), come una possibile opera d’arte è un obiettivo a lungo termine, per il quale noi nel nostro piccolo, stiamo cercando di aprire una strada.
Cosa è cambiato nella didattica?
È un po’ prematuro verificarne la portata delle ricadute. Quello che abbiamo cominciato a rilevare è un interesse autentico, da parte soprattutto dei colleghi artisti del Liceo “Argan”, che per primi hanno colto il valore artistico-umano dell’operazione. Il riconoscimento, anche in termini di partecipazione, è significativo anche per i compagni, che cominciano a guardare con un rinnovato interesse il processo creativo di questi studenti, spesso immediato (nel senso di non mediato da atti censori e autocritici), che li porta ad esplorare frontiere diverse, per tutti noi interessanti da diversi punti di vista: artistico, pedagogico, clinico, sociale…
Consiglieresti di provare questa esperienza ai colleghi?
La scrittura del proprio vissuto, anche semplicemente esperienziale, credo possa essere uno strumento motivante, autoeducativo, di sviluppo di competenze linguistico-comunicative essenziali e trasversali e, come in questo caso, anche di inclusione. Replicare l’esperienza richiede strumenti poveri e di facile reperibilità. Le difficoltà nel reperire uno spazio adeguato per l’installazione possono essere aggirate con altri strumenti di pubblicazione. Scongiurare i rischi di “esclusione” e di “chiusura in se stessi”, connaturati nell’attività narrativo-autobiografica, è possibile utilizzando alcuni accorgimenti, come indicato nella ricetta.
Nel riprodurre la ricetta, un’attenzione particolare dovrà essere posta al rigore del processo educativo e del raggiungimento di un risultato concretamente significativo per la comunità. In sostanza il rischio da cui ci si deve guardare è di realizzare la mostra delle produzioni dei disabili (senza una progettualità artistico-pedagogica, senza una rigorosa autenticità da parte dell’artefice) un luogo ghettizzante in cui forte è il rischio di suscitare pietismo e di amplificare le barriere. Pubblicare il “manufatto” è un’azione densa di significato, un po’ come diceva Orazio Costa riguardo al teatro e alla parola dell’attore, il quale deve essere consapevole dell’entità dell’atto del “rompere il silenzio”. Pubblicare un’opera, significa rompere il silenzio, e tale azione va effettuata solo nel caso in cui l’opera superi il vaglio critico dell’esperto (in questo caso d’arte grafica, ma si può chiedere consiglio anche ad ulteriori addetti ai lavori).
Questa rubrica si chiama Ricette di Innovazione. Prova a dare la ricetta della tua innovazione didattica!
Difficoltà: Media
Tempi di preparazione: 1 mese (progettazione e adattamento iniziale) / 1 mese (organizzazione e realizzazione dell’installazione).
Cottura: Trattandosi anche di adattamento della programmazione, questa si sovrappone alle fasi iniziali di realizzazione. Realizzazione 1 anno, ma si possono prevedere tempi più brevi o più concentrati, a seconda della meta finale.
Costo: Medio
Fase preliminare.
- Costituire un piccolo team docenti, possibilmente con competenze di diversa natura, fra cui almeno un esperto in didattica inclusiva e uno di discipline artistiche.
- Verificare, preliminarmente, i bisogni educativi degli studenti e il possibile raggiungimento degli obiettivi individuati attraverso l’approccio autobiografico-narrativo.
- Verificare, preliminarmente, la disponibilità/propensione all’atto dello scrivere e al racconto di sé, prevedendo attività alternative per quegli studenti che, dopo opportuni stimoli, non riescano a ricavare benessere da tale attività; (per es. prevedendo l’uso di mediatori/spazi/tempi diversi, come la narrazione orale registrata su supporto audio o audio-visivo, l’attività grafico-pittorica per narrare episodi, emozioni che possano essere spiegate a voce, o attività di altra tipologia).
- Selezionare gli studenti che possano portare avanti un percorso di successo, attraverso tale modalità e prevedere, per gli altri, altre modalità e metodologie.
- Sperimentare i supporti (carta, cartoncino, tessuto, rotolo, quaderno…) e gli strumenti (penna, matita, pennarello, pennello…) più adeguati alla situazione, anche in prospettiva di una possibile pubblicazione.
- Prevedere l’attività nell’ambito del Piano Educativo Individualizzato dell’alunno e/o nella programmazione della classe. E, in caso di studenti minorenni, farsi firmare la liberatoria all’uso, senza scopo di lucro, di opere realizzate dal soggetto e immagini che lo ritraggano.
- Verificare, preliminarmente, i costi di allestimento e realizzazione dell’installazione, considerando la possibilità di copertura da parte della scuola (con preventiva approvazione del progetto da parte del Collegio Docenti, del Consiglio d’Istituto, e verifica della disponibilità delle risorse finanziarie) e/o individuare partner pubblici (considerando le specifiche: bando di partecipazione, eventuali spese di assicurazione e/o cauzione).
Fase di realizzazione del manufatto.
- Predisporre un setting adeguato all’attività (tavoli idonei alle dimensioni dei supporti scelti, elementi che favoriscano la concentrazione da parte di ciascuno…), possibilmente dedicando un tempo programmato (ad es. 45-60 minuti per 1 o 2 volte a settimana).
- Programmare attività ricorrenti di condivisione/restituzione del racconto, attraverso la rilettura da parte del team docente, dei protagonisti della narrazione, dei compagni, fino alla pubblicazione (che costituisce il momento più significativo di condivisione/restituzione). La pubblicazione potrà essere di varia natura, a seconda della situazione: dalla realizzazione di un’installazione, come nel nostro caso, all’allestimento di una mostra collettiva, dalla lettura pubblica, alla realizzazione di un blog o alla stampa di un libricino, ecc.
- Durante le fasi di narrazione, curare la creazione di un clima accogliente, orientato all’ascolto attivo e non giudicante; per questo ci si dovrà esimere dalla correzione di qualsiasi errore di natura ortografica, sintattica o grammaticale, così come da un giudizio riguardo al vissuto narrato. A tale proposito consiglio la lettura di alcuni scritti di Duccio Demetrio sull’approccio autobiografico-narrativo.
Fase di pubblicazione.
- In questa fase potranno essere coinvolti anche gli studenti della classe che non abbiano direttamente partecipato all’attività di narrazione. L’organizzazione della pubblicazione potrà essere considerato un compito autentico e, secondo tale metodologia, prevedere l’apporto di ciascuno alla riuscita dell’iniziativa programmata. In questo caso è rilevante il coinvolgimento attivo e incondizionato dei compagni, non trattandosi di un’attività nell’ambito della “Scuola-lavoro”, ma volendo tale modalità potrebbe costituire un incentivo. Nel nostro caso lo studente, con il supporto dei docenti o dei compagni, si è occupato anche della distribuzione degli inviti all’inaugurazione, all’interno della comunità scolastica. I compagni di classe hanno realizzato i “rotologhi” con la spiegazione del progetto (a cura dello stesso Petar) da distribuire ai visitatori e si sono organizzati dei turni di accoglienza durante i giorni di apertura della stessa, a supporto dei docenti organizzatori. Un compagno di scuola ed alcuni colleghi si sono occupati della documentazione fotografica e video dell’installazione. Alcuni colleghi hanno coadiuvato nell’allestimento il curatore, che ha seguito la partecipazione al bando del Comune di Roma per l’uso della Sala, mentre io mi sono occupata dell’organizzazione e della cura dell’incontro pubblico “Disquisizione aperta intorno all’arte” e della comunicazione dell’evento. Un collaboratore esterno si è occupato della realizzazione del sito web dell’evento.
Fase di metacognizione.
- Prevedere almeno un momento finale di riflessione sul processo, anche di inclusione. Nel nostro caso lo studente, dopo qualche mese dalla conclusione del rotolo, ha scritto che cosa ha fatto durante tale attività (scritto che è stato utilizzato per il rotologo).
La sua classe il 18 marzo ha partecipato a “Disquisizione aperta intorno all’arte”, che ho curato e condotto in collaborazione con la dr.ssa Ersilia Bosco, pres. dell’Ass. “Suoni e immagini per vivere”, come momento di riflessione sull’arte alla luce dell’esperienza del compagno.
Grazie ancora della disponibilità e per aver condiviso con noi questa bellissima esperienza!
Breve biografia di Maria Teodolinda Saturno
Sono insegnante nelle attività di sostegno, nel liceo artistico “G. C. Argan” di Roma, esperta in didattica inclusiva per la sordità e le difficoltà di apprendimento. Ho tenuto corsi di Italiano L2 per studenti stranieri e sordi. Gli studi e le esperienze maturati nella creazione video e teatrale (allieva e assistente di Orazio Costa) mi hanno indirizzata, nell’ambito dell’insegnamento, verso la ricerca e l’uso inclusivo di diversi mediatori: teatro, video, scrittura, arti figurative, web. Già docente a contratto nei corsi di specializzazione per le attività di sostegno in alcune Università di Roma affianco all’attività di formatrice quella di autrice e blogger.
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